Testimonianze su raccolte da Elisabetta Nardi |
Testimonianza del Dott. Pino Musolino (7) .
Ho conosciuto Carlo poco dopo il suo arrivo all'ospedale a Macerata. Il ricordo va subito ai momenti trascorsi insieme, sia fuori che dentro l'ospedale, nei momenti sereni e nei momenti tristi, rammento la sua voglia di vivere, la sua voglia di aiutare chi sta male (in pieno periodo AIDS), la sua correttezza nei rapporti professionali, la sua disponibilità.
E così potrei continuare; ma questo non perchè Carlo non c'è più ma perché è il ricordo che Carlo ha realmente lasciato in tutti coloro che lo hanno conosciuto. E che dire della sua semplicità, della sua spontaneità, che non sono state affatto modificate dall'importante ruolo ricoperto negli ultimi due anni (8).
Come sempre in trincea a vivere tutti i giorni i problemi di sempre. A dispetto di questo suo aspetto serioso era una persona piena di spirito e di allegria, allegria che riusciva a trasmettere ai collaboratori anche nei momenti più difficili.
quanto basterebbe poco per renderli felici , pensa quanto bene possiamo fare!"» (Enzo Petrelli) |
Ripeto, potrei continuare all'infinito, ma credo che se lui potesse leggere o ascoltare ciò che diciamo della sua persona avrebbe senz'altro rifiutato questo ruolo da protagonista, scegliendo il retro delle quinte per vivere il proprio quotidiano.
Testimonianza del Dott. Enzo Petrelli (9) .
Sono felice di raccontare qualche aneddoto su Carlo. Cose della vita di tutti i giorni, che colpivano per la loro semplicità e per la partecipazione con cui venivano vissute. Mi viene in mente quando andammo a trovarlo ad Hanoi nel novembre 2002, come manifestava rispetto e benevolenza verso quel popolo. Quando andavamo nei mercati si irritava se qualcuno di noi, come è abitutudine in oriente, voleva oltremodo mercanteggiare sul prezzo di qualche oggetto; lui spesso non discuteva neppure e diceva: "Pensa alla loro miseria e a noi che abbiamo tutto, non importa se il prezzo sembra alto, per noi è sempre poco."
Oppure la sua amarezza quando visitavamo quei villaggi vietnamiti dove non c'era l'acqua corrente, dove non c'erano scuole e i bambini sudici, svestiti, ci guardavano curiosi e mi diceva: "Vedi Enzo, pensa quanto basterebbe poco per renderli felici , pensa quanto bene possiamo fare!"
Oppure quando nella baia di Halong, affascinati da quel paesaggio stupendo, mi diceva: "Non ti sembra il paradiso? Questo può essere solo opera di Dio!"
Testimonianza di Carlo Pettinari (10) .
Sono stato curato dal Dott. Urbani per ben due volte, e la notizia della sua morte è stata per me uno shock, un fulmine a ciel sereno, scagliato da un telegiornale con la freddezza di chi non è coinvolto, e che fa tanto più male a chi lo è.
Caro Dottor Urbani,
non sapevo fossi all’estero. Non sapevo fino a che punto avessi dedicato la vita a chi è più sfortunato.
Non sapevo niente di te, se non le sensazioni che mi avevi trasmesso personalmente.
Dopo la tristezza, ha cominciato a riaffiorare nella mia memoria una immagine di serenità. Serenità pura, profonda, forte, scolpita nella roccia.
Chissa dove la prendevi…
Forse il fatto di sentire la professione di medico come una missione e non solo come un lavoro…
Forse l’amore per lo studio…
Forse la soddisfazione profonda di chi sa di aiutare il prossimo…
Forse la fede… Non lo so.
So che è quella serenità che ti moltiplica le forze e ti permette di tirar fuori il massimo.
Quella serenità che ti fa raggiungere obiettivi impossibili.
Quella serenità che si trasmette agli altri, contribuendo a migliorare tante cose nel mondo.
Grazie Dottore… a te, e a tutti quelli come te.
Carlo
Testimonianza di Rita Papini, centralinista all’Ospedale di Macerata (11) .
Il mio nome è Rita Papini, lavoro da 35 anni presso l’ospedale di Macerata, sono una non vedente. Il Dott. Carlo Urbani lavorava presso il reparto Malattie Infettive dell’Ospedale e aveva molto a cuore tutti i malati, ma particolarmente i malati di AIDS. Faceva ogni sforzo possibile per allungare loro la vita, cercava sempre nuovi farmaci per contrastare questa terribile malattia, e correva anche in Svizzera per poter avere medicine nuove ed efficaci.
Era un uomo molto riservato, chiuso, timido, teneva tutto per sé, a chi non lo conosceva bene poteva sembrare persino antipatico, ma in realtà era dolce, affettuoso, sensibile e deciso.
Un giorno mi chiamò, era molto dispiaciuto per un caso di AIDS per il quale non era riuscito a trovare la giusta cura. Io che ho un carattere molto schietto e franco gli dissi: "Ma dottore, perché non li fa morire tutti questi ammalati di AIDS che inquinano l’aria e nuocciono all’umanità?" Mi riferivo in particolare a coloro che prendono l’AIDS andando con le prostitute ed ai travestiti che poi contagiano i propri ignari partners. Il Dott. Urbani trasalì a sentire le mie parole e disse: "Ma che dici Rita! Non è possibile! Sono esseri umani! Noi medici dobbiamo lottare per sconfiggere la malattia, bisogna lottare fino in fondo, finchè si può!"
Sempre per dedicarsi alla lotta all’AIDS, per aiutare i bambini colpiti da questa grave patologia, improvvisamente un giorno venne da me per comunicarmi la sua decisione: "Rita, parto, vado in Cambogia per sei mesi con tutta la mia famiglia. Non so quando ci rivedremo, forse fra un anno, oppure no…" Io tentai di dissuaderlo, facendogli presente i rischi a cui poteva andare incontro, ma lui era fermo e risoluto nelle sue idee, mostrava una forte determinazione a realizzare il suo sogno, sentiva ardere dentro di sé il desiderio di portare aiuto ai popoli bisognosi, di vivere la sua vita come una missione anche a costo del sacrificio, parlava come se già stesse sul posto.
Prima di congedarci gli dissi che io amavo collezionare di tutto, in particolare le schede telefoniche di tutto il mondo e lui promise che avrebbe portato un pacco di schede, metà delle quali sarebbero state per me, l’altra metà per la mia amica Therese Nijem (12), sua paziente. Gli chiesi come avrei potuto ricambiarlo, e lui mi diede un colpetto sulla spalla e poi se ne andò.
Lo scorso anno, in occasione dell’8 marzo (13), essendo io consigliera dell’Unione Italiana Ciechi, volevo fare una relazione sul problema delle donne non vedenti nel mondo. Mi venne in mente il Dott. Urbani che conosceva bene l’Estremo Oriente: Vietnam, Cambogia, Thailandia. Cercai di rintracciarlo via e-mail, ma aveva cambiato indirizzo di posta elettronica. Non riuscii a raggiungerlo, ma pochissimo tempo dopo venni a sapere dalla TV della sua morte. Per me fu un duro colpo! Una tragedia!
Io lo reputo un santo, perché non è comune trovare una persona che abbia forte dentro di sé il desiderio di servire l’umanità sofferente come lo aveva lui.
Testimonianza di Roberta Pierangeli, ostetrica: con Carlo Urbani in Etiopia (14) .
Sono Roberta,ostetrica, ho fatto parte del gruppo "viaggio esperienza" con Carlo Urbani, nel Kambatta, in Etiopia. Gennaio 1987, ci troviamo a tavola fra amici, Carlo interviene raccontandoci del suo incontro con frate Crispino, dei cappuccini di Imola, della sua intenzione di mettere in piedi un gruppo di operatori sanitari, con destinazione la missione etiope di Taza e della relativa proposta di partecipazione.
Mi è bastato il solo racconto di Carlo, da cui trapelava il suo entusiasmo e la sua curiosità, mi è bastato cogliere questi sentimenti per sentirmi determinata all’adesione.
Carlo ha sempre avuto la capacità di dissipare incertezze e titubanze nel suo interlocutore infondendo senso di adeguatezza.
Di lì a pochi giorni eravamo a Imola con Giuliana (15) e Tommaso (nella pancia), io e Carlo. Nel corso dell’incontro tocchiamo aspetti di tipo organizzativo: viaggio, presenza in missione, ruolo di ogni partecipante; hanno aderito anche due ortopedici. Rilevante fu il messaggio rassicurante di fra Crispino rivolto a Giuliana.
Le giornate a Taza scorrevano tra attività di sala operatoria ortopedica e oculistica, ambulatorio curato da Carlo: le malattie parassitarie (tenie, ascaridi, tungiasi), la tubercolosi, la poliomielite, la sifilide, le diarree, le febbri. sono solo una parte delle malattie presenti.
Due giornate alla settimana erano dedicate alle donne in gravidanza e ai bambini: si distribuivano vitamine e ferro. Altra attività rivolta agli adulti operati era la visita medica nelle capanne in muratura, costruite nel rispetto dell’architettura locale, fattore persuasivo per la permanenza in missione. La sera si redigeva la lista operatoria nel corso della visita al "centro accoglienza per bambini" sopravvissuti alla carestia (all’interno della missione).
dalle idee promotrici della dignità umana in ogni angolo del mondo. Scelte e idee che hanno guidato la sua vita e possono costituire un messaggio valido per le giovani generazioni di ogni tempo." |
In me è vivo il ricordo di Carlo che raggiungeva il massimo appagamento quando tutti eravamo all’opera: urgenza ostetrica, ustione estesa di ragazzino, indigena al microscopio, Lidia alla sterilizzazione, interpreti indigeni reclamati da tutti.
Di fronte agli operati di glaucoma, uomini che tornano a vedere la luce con l’ausilio di occhiali prodotti da padre Leonardo, l’emozione tocca il top. Gli uomini si atteggiano a miracolati. I presìdi ortopedici erano forniti in parte, dall’officina della missione. Tutte le attività descritte erano alimentate dal sentimento del "fare concretamente per gli svantaggiati, noi appartenenti ai paesi sviluppati".
Nel corso della visita a Wasserà, alla clinica ostetrica, posta in una lussureggiante collina, veniamo travolti dall’entusiasmo di Suor Chiara, che nel rispetto delle norme igienico sanitarie e con una dose massiccia di amore reggeva tale struttura.
Ricca di emozioni fu la gita all’Omo river, con abba (padre) Bruno alla guida del fuoristrada. Partimmo all’alba, incrociammo numerose iene, attraversammo villaggi di capanne costruite con terra ed erba secca. Il fuoco è l'unico comfort presente in tutte le capanne. I bambini ci accolsero esultanti al vociare di "abba".
Per raggiungere il fiume fummo costretti a scendere di circa 1000 metri, e considerate le vie di comunicazione… la pesca fu fruttuosa, nonostante la presenza insidiosa degli ippopotami. Il pesce gatto venne cucinato dalle ragazze indigene, ospiti della missione. Un giorno padre Leonardo e Carlo mettono mano ad un apparecchio radiologico obsoleto, quando ci arrivano risa a quattro ganasce: qualcosa era scoppiato e l’ipotesi che tale fatto venisse intercettato come minaccia dagli eventuali satelliti, fu motivo di tanto fragore.
Testimonianza del Dott. Marco Sigona (16) .
Di certo non avrei mai immaginato di essere qui oggi a parlare di un caro collega scomparso con il dovuto rispetto e la soggezzione che è d'obbligo nutrire nei confronti di un uomo e di un medico come Carlo.
Il mio è un breve pensiero collegato al ricordo di una collaborazione professionale che ci vide partecipi in occasione della preparazione di un meeting di aggiornamento, rivolto ai medici di famiglia, sulle patologie tropicali da un punto di vista dermatologico ed infettivologico.
Più volte quell'impegno ci diede la possibilità di trascorre insieme qualche ora ed essere gomito a gomito nella lunga stesura dei lavori, ma soprattutto nella catalogazione delle numerose immagini tratte dalle diapositive di cui era ed è tuttora ricca la raccolta dei viaggi ed esperienze di Carlo.
Si discuteva serenamente di casi clinici e ricordo ancora con entusiasmo il modo con cui Carlo, con parole semplici e assenza di vanto, ci illustrava le sue esperienze professionali e di vita nei paesi del Terzo Mondo.
Lo osservavo parlare e con ammirazione pesavo dentro di me l'importanza delle sue scelte e bonariamente invidiavo il suo coraggio nel portarle avanti a dispetto di tutti e tutto.
Quel coraggio da allora, in un crescendo spontaneo, ha animato, giorno dopo giorno, la mia professione e ancor di più oggi mi consente di valutare serenamente ogni singolo caso e trovare, oltre che una cura, una parola, un gesto, un'espressione di umanità per ogni paziente.
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