Testimonianze su raccolte da Elisabetta Nardi |
Le testimonianze che seguono sono inedite e ringraziamo quanti ce le hanno donato, perché contribuiscono ad una conoscenza più completa della figura di Carlo Urbani, della sua personalità così ricca, poliedrica eppur nel fondo tanto semplice e lineare, fondata sulla "passione" per la solidarietà concreta verso quanti soffrono, il più delle volte perché vittime di situazioni di violenza ed emarginazione.
La fede ha trasmesso in profondità nel suo animo un grande rispetto per ogni persona umana, a difesa della quale Urbani ha consacrato la sua intera esistenza, sia che si trattasse di un malato incontrato nelle corsie di un ospedale delle sue Marche, sia di un bambino o un anziano sofferente in Mauritania o Cambogia o Vietnam…
Una autentica, evangelica "passione", per essere "accanto ai fratelli", che Carlo voleva trasmettere a quanti, colleghi medici e operatori sociali, amici, studenti, mostravano di essere sensibili alle sue parole e al suo esempio.
Tutta la sua vita appare allora un "appello"… e tanti segni mostrano come molti - e in misura crescente - stanno rispondendo generosamente, perché più si diffonde la conoscenza della vita di Carlo Urbani, più sorge spontaneo l'apprezzamento e la volontà di impegnarsi a continuare la sua opera.
Testimonianza di Giuliana Chiorrini, moglie di Carlo Urbani
La disponibilità verso gli altri, il non tirarsi indietro di fronte alle difficoltà (anche a costo della propria vita), il rispetto delle diversità, sono gli aspetti che per me rendono più "vivo" il ricordo di mio marito.
La sua convinzione era che fare qualcosa per gli altri non è poi così difficile, basta credere che tutti gli uomini sono uguali ed hanno lo stesso diritto di aspirare alla propria felicità, e su questo ha basato le sue scelte di vita.
Scelte portate avanti fin da giovane, quando partecipava con entusiasmo ai campi di lavoro organizzati da Mani Tese, quando era l’animatore degli adolescenti del paese, per i quali organizzava incontri e campeggi, quando insieme ad altri coetanei progettava ed animava vacanze per portatori di handicap, basate sull’allegria e la voglia di stare insieme.
Scelte proseguite poi anche nell’ambito della sua professione, che in seguito ci hanno portato ai radicali cambiamenti di luoghi (Italia, Cambogia, Vietnam) ed abitudini di vita.
Il suo entusiasmo è stato per un certo senso "travolgente": nei suoi primi viaggi all’estero è riuscito a coinvolgere le persone più "diverse" (con l’obiettivo del gusto per le scoperte ed il rendersi utile agli altri), fino poi ad arrivare a vivere con noi all’estero, scelta che per lui era "testimonianza di barriere abbattute".
"Nella vita sono sempre più sorgente", scriveva ad una sua amica suora (1) un anno fa, "la superficialità mi è divenuta intollerabile, l’indifferenza, mi fa quasi diventare violento. Si dice in genere che non esiste mai una situazione con il bianco e il nero ben distintiti, ma che si può trovare della ragione e del torto ovunque. Io invece, per una dolorosa passione e romanticismo, continuo a credere che si possa dire "questo è sbagliato o questo fa schifo" senza titubare. Occorre saper distinguere dove il BENE sta, e dove il MALE si annida. Essere disponibile è un sogno non poi tanto difficile da realizzare (basta volerlo), "tendere una mano" è un modo per avvicinarsi alle diversità e trarne ricchezza".
"in prima linea", ma pienamente condivisa da Giuliana, che aveva già sperimentato come lasciarsi coinvolgere dall'entusiasmo di Carlo significava realizzare una parte importante del suo "sogno"... |
Scriveva dalla Cambogia quando era membro di "Medici senza frontiere": "Noi volontari siamo osservatori privilegiati che possono vedere l’orrore di fatti ed eventi che fanno della dignità umana un sanguinante e misero fardello. E poi raccontare, urlare, le privazioni dei diseredati, la lontananza degli esclusi, indicare in abusi e violenze i veri fenomeni contro cui è davvero difficile costruire argini e rifugi…"
Testimonianza di Elvia Carloni, già caposala del reparto malattie infettive presso l’Ospedale civile Umberto I di Ancona (2) .
Carlo Urbani era un uomo che non agiva d’impulso, in tutte le scelte era cosciente. In ospedale ad Ancona, quando era lo specializzando (3), faceva tante guardie mediche. I turni di servizio per gli specializzandi erano di tre o quattro ore a settimana, invece lui si fermava tutti i giorni, gratuitamente, per essere vicino agli ammalati. Quando lo si chiamava per qualche caso particolare, lui arrivava con il sorriso sulle labbra e diceva: "E allora?" Parlava con l’ammalato, lo tranquillizzava, lo incoraggiava, poi faceva la visita e dava la terapia.
Anche quando veniva chiamato di notte arrivava sempre con il sorriso sulle labbra e con il suo modo di fare gentile. Era di una disponibilità senza pari, cortese. Non era un tipo espansivo, ma dolce e comprensivo. Sempre disponibile nell’aiuto a tutti: ammalati, colleghi e personale sanitario.
Aveva due occhini grandi, bellissimi ed un sorriso che incoraggiava. Verso i colleghi era molto corretto e cortese, taceva se vedeva qualcosa di storto, ma poi prendeva provvedimenti, in modo discreto. Amava gli ammalati ed era profondamente toccato dagli ammalati terminali, gli facevano pena e per loro si adoperava in ogni modo.
Carlo ha fatto il liceo a Jesi, un giorno sapendo che io venivo da Filottrano , mi domandò se conoscessi una sua compagna di scuola del liceo. Gli dissi che era una mia nipote e che in quel periodo era molto sofferente a causa di una grave patologia della tiroide. Gli chiesi consiglio e lui mi disse che era cosa preoccupante, in quanto la malattia se non curata, poteva degenerare in tumore alla tiroide. E mi consigliò di convincerla a curarsi, di starle vicina. Si propose anche di farla venire in Ancona, ma lui non voleva assolutamente comparire per non far sentire a disagio la paziente. Allora si offerse di dare alla famiglia il nome di un bravo specialista di Roma e, volendo, di contattarlo lui direttamente. Finalmente la ragazza ha accettato di fare i controlli a Roma, si è curata, è guarita, si è sposata ed ha due bellissimi figli.
Essendo presidente regionale degli Infermieri Cattolici, il giorno dell’Immacolata, in occasione del tesseramento, invitai anche il dott. Urbani, che venne alla messa con due amici uno dei quali convinto comunista.
Il dott. Urbani conosceva la vita di San Giuseppe Moscati, il medico santo di Napoli, perché un giorno io stessa portai in reparto il libro di Papasogli, "Giuseppe Moscati, vita di un medico santo". Il libro fu letto da entrambi e alla fine il dott. Urbani commentò: "E’ stato un bravo medico!" Molto probabilmente questa lettura suscitò in lui l'intenzione di seguirne la scia.
Il dott. Urbani non era un uomo di grandi energie fisiche, non era molto resistente, era magrolino, delicato, ma è riuscito a compiere grandi opere, per mezzo della grazia di stato, ossia di quei doni che il Signore ci dà a seconda della professione e in generale dello stato in cui ci troviamo, così come per esempio dà alle mamme che hanno figli piccoli la capacità di dormire poche ore a notte.
Questa testimonianza che rilascio non è tanto ad onore del dott. Urbani, che essendo molto umile non avrebbe apprezzato che si fosse parlato di lui, ma a ricordo dei figli, in particolare dei più piccoli. Il grande ha vissuto le esperienze che ha fatto insieme al padre e le ha vissute coscientemente da ragazzino maturo, i piccoli le hanno vissute come immagini sfuggenti senza poterne avere coscienza.
Testimonianza di Therese Nijem, di Nazareth (4) .
Mi chiamo Therese Nijem e sono nata a Nazareth, sono una consacrata appartenente all’Istituto Mater Misericordiae di Macerata (suore laiche). Sono affetta dalla sindrome di immunodeficienza congenita, un male terribile che mi ha costretto a lunghi ricoveri ospedalieri.
L’ultima volta accadde nel 1999, trascorsi ben nove mesi presso l’ospedale di Macerata, di cui tre o quattro presso il reparto di malattie infettive. Qui ebbi modo di conoscere il dottor Carlo Urbani. Un uomo che faceva seriamente il suo dovere, ma di poche parole. Con me, invece, che ero di natura timida, il dottore amava trattenersi a parlare e a volte confidarmi qualche piccolo segreto, con molta sorpresa degli altri ammalati.
Di quel periodo non riesco ad avere ricordi nitidi e dettagliati, ma ho molti flash. La malattia era gravemente degenerata tanto da portarmi al coma, dal quale non so come sono uscita. Soffrii molto in quei mesi, ma ebbi la fortuna di avere accanto a me la presenza dolce e consolante del Dott. Urbani. Un giorno, mentre ero preda a terribili sofferenze, arrivò il Dott. Urbani, al quale confidai che dovevo affrontare bene la sofferenza per offrirla al Signore. Il dottor Urbani mi disse: "Non solo voi ammalati, ma anche noi medici dobbiamo offrire con voi la sofferenza!"
Colpita da febbre con brividi, non riuscivo proprio a riscaldarmi, arrivò il Dott. Urbani che dolcemente mi sussurrò: "Non ti preoccupare se le coperte non ti scaldano, c’è Gesù dentro di te a scaldarti."
noi medici dobbiamo offrire con voi la sofferenza!" (Carlo Urbani a Suor Therese Nijem) [SS.Crocifisso del Soccorso con S.Brigida - Caltagirone, Catania] |
Continuamente il mio fisico era sottoposto ad analisi per monitorare i valori del sangue, un giorno avevo tanta sete, mi lamentai con il Dott. Urbani per non poter soddisfare il mio bisogno di bere e lui mi disse: "Ma come? Tu che sei una consacrata non ti ricordi che pure Gesù in croce ha sofferto la sete e per dissetarlo i centurioni gli diedero l’aceto? Dunque, sopporta!" Qualche volta prima delle analisi mi chiedeva: "Therese, allora oggi non fai il tuo segno della croce? Non dici l’Ave Maria nel tuo cuore?"
Ci fu una volta in quei tragici mesi che scoraggiata gridai al dottore: "Dottore, voglio andare a casa!" E lui, con calma e con dolcezza mi disse: "Ricordati che il Signore vuole da te tante cose e che con la tua sofferenza dà l’occasione a noi medici di capire e trovare la cura per la malattia che ti ha colpito."
Io non lavoro, non ho reddito, dunque non ho soldi a disposizione, un giorno vennero degli amici e mi regalarono 5.000 lire (l’euro ancora non era stato introdotto). Io fui felicissima perché avevo una gran sete e desideravo moltissimo un bicchiere di Coca Cola, chiesi al Dott. Urbani se la potevo bere, lui acconsentì. Diedi i soldi ad un familiare di un ammalato chiedendogli di andarmi a prendere al bar una bottiglia. Non rividi più né i soldi, né la Coca Cola! Più tardi, il Dott. Urbani mi chiese se avessi gustato la Coca Cola, raccontai con molto rammarico l’accaduto. Il giorno dopo, il Dott. Urbani arrivò accanto al mio letto, prelevò 10.000 lire dal suo portafoglio e me le diede, pregandomi di non raccontare nulla né ai medici, né agli infermieri. Io sorpresa, ma contenta, chiesi come avrei potuto sdebitarmi e lui mi disse: "Con preghiere per i miei figli!"
Conversando con lui gli raccontai della mia passione per le carte telefoniche e lui mi disse: "Quando andrò all’estero con MSF (Medici Senza Frontiere) ne porterò molte sia a te che a Rita."
Un giorno mi sorprese a pregare e mi disse: "Noi medici lavoriamo e voi pregate, così sappiamo se facciamo bene il nostro lavoro!"
Spessissimo ero sottoposta a dolorosi prelievi per vedere la quantità di ossigeno presente nel sangue, un giorno mi opposi al prelievo, affermando: "Basta! Fa tanto male!" E lui in modo risoluto: "Therese, tu sai che c’è Gesù con te, ma l’ossigeno si vede solo con gli esami del sangue! Facciamo un patto: tu devi promettermi che obbedirai al primario come ubbidisci alla tua Superiora e da oggi in poi non rifiuterai più di fare le analisi."
Prima di entrare in coma a causa di un ascesso al polmone, mentre stavo vomitando sangue lui mi accompagnò fino alla sala di rianimazione dicendomi: "Non ti lasceremo, rimarremo con te fino alla fine!" Quando poi dopo molto tempo mi ripresi, ogni volta che mi vedeva mi diceva: "Mi hai fatto tribolare!" e poi spesso mi incoraggiava: "Se tu non avessi avuto la volontà di guarire dalla malattia, ora non saresti in vita, saresti già morta da tempo!"
Qualche volta quando mi veniva a visitare si fermava a fare quattro chiacchiere ed era il momento della confidenza, un giorno mi disse: "Mi piacerebbe vedere mio figlio divenire dottore come lo sono io: per amare gli ammalati, non per lavorare per i soldi!"
Quando, dopo essermi rimessa, gli comunicai che sarei ritornata in Israele per una visita, lui mi disse: "Prima di partire ti darò alcune cose nuove da portare in Israele per i bisognosi, ma ricordati Therese ciò che dice il Vangelo: ciò che fa la mano destra, la sinistra non lo deve sapere! Voi poveri e voi stranieri siete i primi nel mio cuore!
Ritornata all’ospedale per un controllo, annunciai al dottore che sarei partita per un soggiorno a Lourdes di due o tre settimane e lui, ricordando ciò che ero solita dire durante la mia dolorosa malattia, mi disse: "Io sono sicuro che tu non vai solo a pregare, ma anche per offrire la tua sofferenza!" e mi diede un’offerta per accendere un cerone aggiungendo: "Prega anche per la mia famiglia: per mia moglie ed i miei figli!"
Testimonianza di Don Mariano Piccotti, Parroco di S.Sebastiano a Castelplanio, Ancona (5) .
Conservo gelosamente una lettera che Carlo mi ha inviato dopo il primo tempo del suo trasferimento con la famiglia in Cambogia. Porta la data dell'11 febbraio 1997.
Scrive a me e a Suor Anna Maria Vissani (6) insieme, riconoscendoci suoi amici. "[…] Ho pensato di parlarvi insieme, per non far passare altro tempo, e perché tutto sommato siamo abituati a parlare insieme, ed in entrambi ho sempre trovato allo stesso tempo la calda attenzione dell’amico e la dolce acutezza dell’assistente spirituale."
Per un parroco è questo un bel riconoscimento. Ma ancora più bello è il fatto riconosciuto in quest’altro passaggio: "Cosa sto facendo qui della mia Fede? Beh, qualche volta, magari incollati ad un ventilatore per il caldo torrido che c’è anche di notte, diciamo insieme qualche preghiera, ed ogni 15 giorni partecipiamo alla messa per la comunità francofona nella missione francese. La messa è molto piacevole, semplice, sentita, ed è bello scoprire come quella famiglia di figli di Dio alla quale diciamo di appartenere, ma che in realtà immaginiamo sempre come un concetto astratto, in realtà esiste in carne ed ossa, ed è pronta ad accoglierti tra le sue braccia anche in posti lontani come questo." La chiesa è cattolica! Questo significa che in ogni parte del mondo ti puoi trovare a casa. E questo per Carlo era una esperienza centrale.
Ancora più interessante è l’altro passaggio sulla fede. Dice: "Ma poi soprattutto nella Fede cerco in questo tempo la luce per rispondere ad angoscianti interrogativi che mi tengono sveglio. Il primo è la fatidica questione sulla vera natura dell’uomo. Quanto vedo qui, quanto sento nei racconti dei miei colleghi provenienti dalle mille ferite di questa terra, campi di battaglia, campi profughi, la profonda povertà delle bidonvilles, le assurde lotte fratricide, e le carceri grondanti sangue di tutti i regimi dittatoriali del mondo… tutto questo scoraggia un po’, e a volte vedere qualcosa di buono nell’altro, in chi ti è "prossimo", diventa veramente difficile ed invita a chiudersi in se stessi. Ma i piccoli lumi che brillano nei cuori di quanti si prodigano in questo magma dolorante lasciano sperare, ed il ricordo di chi ha deciso di scendere in questo scenario di continui soprusi e guerre, per morire poi su una croce, mi fa credere che una luce di pace sarà pure nascosta dietro qualche orizzonte".
Qui c’è tutto Carlo: nella fatica di cercare e nella speranza di trovare; nella tragica situazione che scoraggia e nella speranza dei piccoli lumi di quanti si prodigano. Ed è bellissima quella chiara allusione al Cristo Crocifisso. E’ la discrezione del credente, che preferisce esprimere con la vita quanto un predicatore direbbe con parole.
La lettera si conclude con il Natale, quello vero fatto di persone che vivono la situazione della Santa Famiglia. "Vi so vicini, ed a volte vorrei che vedeste con i miei occhi, per fissarvi su quegli sguardi di chi ha perso tutto, la famiglia nella guerra, il raccolto nell’alluvione, il figlio per la diarrea, i risparmi per un ladro, o per scaldarvi il cuore alla vista di una donna che partorisce sola, in una palafitta in un remoto villaggio, lontano, da tutto e da tutti, il marito inginocchiato al fianco, un legno che arde in un braciere per scaldarla… non credo che in altre scene avreste potuto vedere meglio rappresentato il mistero della natività di questa che ho visto a Sdau, piccolo villaggio su nel nord, due settimane fa."
Ecco il Carlo che io porto in mente e sento vivo nel cuore. Di altri aspetti, della sua collaborazione con la Parrocchia e la diocesi, nel campo della promozione sociale e liturgica ed educativa, parlano benissimo i libri. La memoria di lui ci sproni a convertirci, a cambiare stile di vita, perché ormai la nostra famiglia è il mondo.
Note
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