Itinerario spirituale di Santa Scorese - 2

Giuseppe Micunco

Lettere prima del Diario * Diario: fino agli esami di Maturità (2) : Le Missionarie dell’Immacolata "P.Kolbe"Radicalità d’amore e vita liturgica - I poveri e la povertà - Nella Chiesa essere l'amore - Lo studio * Dalla Maturità alla fine del Diario (1) : Conflitto per la vocazione * Dalla Maturità alla fine del Diario (2) * Dalla Maturità alla fine del Diario (3) * Dalla Maturità alla fine del Diario (4) * Lettere dopo il Diario

Il Diario - fino agli Esami di Maturità - 2

Le Missionarie dell'Immacolata "P. Kolbe"

Da qualche anno Santa aveva conosciuto anche l'esperienza delle Missionarie dell'Immacolata "P. Kolbe"; lo racconta in uno scritto che non fa parte del Diario (12): "Il mio primo atteggiamento nei loro confronti è stato di rifiuto. Ricordo che rimproverai mia madre per aver accettato che le missionarie facessero un Cenacolo in casa mia. Credo che mia madre abbia avuto un po' di paura! A guardare adesso, però, devo proprio dire che da quel giorno invece è cambiato tutto".

Santa Scorese (a destra) con la sorella Rosa Maria, a Borgonuovo di Pontecchio Marconi, presso il Centro delle Missionarie dell'Immacolata P.Kolbe.

È fondamentale per lei soprattutto la scoperta della figura di Maria: "Non avevo mai prestato attenzione alla frase del Vangelo "Madre ecco tuo figlio, figlio ecco tua madre" (13) e sentire che in essa è racchiuso tutto il segreto della maternità dell'universo intero, era una rivelazione strana e nuova per me, però mi piaceva. Ho cominciato così a capire finalmente che cosa mancava in me: dei punti fermi, delle immagini a cui rifarmi, insomma un Ideale e un modello di donna e Maria mi sembrava proprio quello giusto".

Radicalità d'amore e vita liturgica

Quello che stupisce è soprattutto la radicalità e la serietà con cui ha scelto Dio e il proposito di vivere sempre alla luce di questa scelta: "ricordarmi ogni tanto di Gesù e offrire a Lui quello che stavo facendo in quel momento", fa venire in mente S.Paolo: "qualsiasi cosa facciate, tutto fate per la gloria di Dio" (14).

È per questa totale radicalità di scelta d'amore che non troviamo nel Diario molti riferimenti ai Sacramenti, in particolare all'eucaristia e alla confessione, perché il suo dialogo d'amore con il Signore non si limita a momenti privilegiati, ma è di tutta la giornata, di tutta la vita, e si sostanzia, direi naturalmente, di incontro sacramentale con il Signore.

Per l'eucaristia, già abbiamo visto nelle lettere del tempo della scuola media come fosse preoccupata della partecipazione della gente, dell'omelia, della verità dei gesti e delle formule di preghiera. Dal Diario appare chiaro il suo desiderio di parteciparvi quotidianamente, quando orari e impegni di scuola glielo rendono possibile, e nonostante qualche commento pesante dei compagni: "Sapeste cosa significa essere presa in giro dal compagno comunista che ha scoperto che vado a Messa ogni mattina!" (15).

Terminate le lezioni di terzo liceo, può farlo in maniera sistematica e lo annota con gioia: "È importante il fatto che ora la mattina riesco a trovare il tempo per andare a Messa e incontrarmi con Gesù Eucarestia. Sento che questo incontro mi dà una carica maggiore per andare avanti e soprattutto non mi fa sentire sola".

Direi che Santa avverte fisicamente la presenza del Signore, anche nel sacerdote che celebra il sacrificio ("Ecco è lui che si manifesta"), anche, e quanto, nella Parola ("la cosa importante e bella è stato sentire nel Vangelo: "Io ho vinto il mondo". Era stato proprio come se Gesù parlasse proprio a me e dicesse che Lui è con me sempre, fino alla fine, anche nel dolore").

È una presenza reale che Santa vive anche davanti al Tabernacolo: "Anche stare in cappella, sola a parlare con Te è stato bello! È bello sapere che Tu sei lì, anche nel tuo dolore più grande, sulla croce, nell'abbandono più totale, pronto ad ascoltarmi e ad amarmi!". Ed ecco che torniamo ancora alla spiritualità di G.A.: sappiamo come Santa cercherà di partecipare all'eucaristia quotidiana anche quando questo richiederà qualche sacrificio per accompagnarla, al padre o ad una amica, anche quando verranno i giorni del pericolo e della persecuzione.

Nella spiritualità di G.A. rientra anche l'unico cenno che troviamo al sacramento della riconciliazione (16): "Non riesco nemmeno ad amare questo mio dolore rendendolo come un volto di G.A. Proprio non ci riesco. Sono troppo egoista e in questo momento non mi accontento di nulla. Ho la coscienza che Dio è qui con me a soffrire con me, ma non riesco a capire il suo amore: non riesco nemmeno a confessarmi... Sembra tutto così buio!".

I poveri e la povertà

L'attenzione ai poveri, fatta anche di gesti concreti (visite periodiche all'ospizio, poi a famiglie... anche la sera dell'aggressione era stata dalla "sua" famiglia), non è mai paternalistica o sentimentale, assolutamente mai superficiale.

È anzi un'esperienza che la "scandalizza". Il suo proposito è quello di amare in loro G.A. - secondo la parola di Gesù: "quello che avete fatto a uno di questi piccoli l'avete fatto a me" (17) - di essere come Maria che va a fare visita ad Elisabetta (18), ma questo non le mette l'animo in pace davanti alla solitudine e alla sofferenza, davanti allo squallore di luoghi che conosciamo abbastanza bene... Santa riesce a cogliere il moto di rivolta che sale da certe situazioni (ricordiamo come anche da ragazza si ribellava davanti al dolore innocente), dalla consapevolezza di quanto "importanti e preziosi sono quegli uomini agli occhi del Signore": perciò non si sente affatto "tranquilla e soddisfatta" per avere fatto l'opera buona...

Ancora una volta è l'umanità che, come quella di Cristo nel Getsemani, si ribella davanti a quello che sembra un abbandono da parte di Dio. Riferisce le parole di un uomo dell'ospizio, A., "un uomo anche colto e con molti soldi" (ma, evidentemente, solo e bisognoso di assistenza), che però le dice: "Ma che volete? Lasciateci morire in pace!", e quando le ragazze che sono andate a trovarlo gli dicono che sono lì anche per lui, risponde con amarezza: "Volete la verità? Voi, venendo qui, portate ciò che è finito per noi".

Sono parole che Santa non intende come ingratitudine (sarebbe facile per il nostro moralismo borghese intenderle così...) e commenta: "Mi rendo conto che abbiamo risvegliato in loro tanti ricordi, desideri mai esauditi ed ora loro non aspettano altro che la morte. Ecco non mi è sembrato di aver dato a quelle persone una ragione per continuare a vivere, a pregare", per concludere, ancora con il Vangelo, "siamo servi inutili" (19). Qualcosa, però, Santa deve averla data se, come ha saputo, A., morto un po' di mesi dopo, "durante la sua malattia, quindi il suo ultimo periodo di vita, nominava solo un nome: Santa": molto umilmente, senza sciocche e, in questo caso, offensive vanterie, Santa annota: "Molto probabilmente sono io quella perché il signor A. non aveva più nessuno". A. è morto col nome di Santa sulle labbra... Lungi dal provare "soddisfazione", sente ancora dentro di sé la rivolta: "Quando ho saputo questo e ho saputo anche che è morto come un cane senza funerale ho sentito congelarmi il sangue" e chiede al Signore di insegnarle ad amare "liberamente, gratuitamente".

"Ora se Dio veste così l'erba del campo... non farà assai più per voi, gente di poca fede?" (Mt 6,30)
[Foto di Elisabetta Nardi]

E poco paternalistica e sentimentale, e anzi, quanto evangelica, si dimostra Santa anche alla morte improvvisa di una persona che conosce, M.T.: "È stato un episodio che mi ha fatto riflettere molto, perché tante volte ci affanniamo ad accumulare beni materiali, ma non serve a niente perché non siamo padroni della nostra vita... Penso a quanti sacrifici aveva fatto M. per avere di nuovo il suo palazzo tutto di nuovo in ordine e quando ha ottenuto ciò è morta". E Santa riporta Matteo (20): "Guardate gli uccelli del cielo..." in quella che è forse la più lunga citazione tra virgolette che troviamo nel Diario, concludendo alle parole "Voi valete molto di più...".

Probabilmente ha anche presente "Non accumulate tesori sulla terra" (21) e la parabola del ricco a cui viene tolta inaspettatamente la vita (22), e Marta che "si affanna per tante cose" (23). Non è, ovviamente, il suo, un "giudizio" sulla persona scomparsa, ma una riflessione più ampia sulla vita degli uomini e sulla sua.

Soffre poi per i compagni che la fanno soffrire o con i loro atteggiamenti o, anche, con la loro freddezza: "In una classe dove solo un altro paio di ragazzi sono praticanti è un po' difficile essere una piccola Maria. Sono partita in quarta, partecipando vivamente alle discussioni in classe, ma alla fine mi sono accorta che forse non avevo ottenuto molto e che alla fin fine tutto era valso solo a farmi chiamare 'monaca' o 'bizzoca'. Ho sofferto tanto perché capivo che non potevo star ferma... Voleva dire che dovevo prima di tutto lavorare su me e poi cercare di trasmettere l'Ideale. Allora mi sono messa all'opera, ed è stato quasi naturale trovare il modo per vivere l'Ideale anche tra i 'compagni': è amarli uno per uno, come se amassi Gesù in loro, cercando proprio di farmi una con loro" (24). Si propone di essere umile, di chiedere scusa, di scrivere un bigliettino... quasi fosse lei in debito, e comunque di pregare per loro.

Molto bella la preghiera che scrive pensando a tutto questo: "Chiedo a Te, Padre, di stare accanto a tutti quelli che soffrono, ma anche a quelli che sono felici, perché la loro gioia sia piena", in cui la vera perla è la distinzione evangelica che Santa fa tra felicità e gioia, augurando la "gioia piena" di cui parla Giovanni (25). Per una persona che la fa particolarmente soffrire, ma che stima tanto, prega: "Ti affido S. perché è una persona a cui tengo tanto e penso in fondo che anche lui ti voglia bene": è la persona che ha a volte parole irrispettose nei confronti della Chiesa e di Maria: Santa sa leggergli nel cuore, nella sua umanità, e sa che anche lui è prezioso agli occhi di Dio.

Questa è, a mio parere, una delle forme più interessanti di povertà individuata da Santa, quella degli indifferenti e degli irriverenti, di chi pensa di avere tutto, di chi si crede felice. Santa si sente in debito con loro, prega per loro.

Nella Chiesa essere l'amore

Santa in questo periodo riflette spesso sulla sua vocazione: ha fatto esperienza nei GEN dei Focolari, ha conosciuto le Missionarie dell'Immacolata "P. Kolbe", sta concludendo il liceo e si prepara alla scelta della facoltà universitaria, vive anche una breve vicenda sentimentale, continua nei suoi impegni di assistenza e volontariato. In tutto trova elementi di gioia, doni del Signore, motivi per amare il Signore e il prossimo, per pregare. È un periodo molto intenso: sembra voglia fare tutto...

È quel periodo così bello della vita di una giovane di diciassette, diciotto anni, con il fascino dell'avventura, delle scommesse, degli ideali, della pienezza della vita e della gioia, insieme ad inevitabili amarezze e alti e bassi. Santa è quasi inebriata da tutto questo: nella sua esigenza di radicalità, di totale dedizione, di consacrazione, guarda prima di tutto al Signore, non perde cioè di vista l'essenziale, cerca di mantenere l'unità dello spirito, e arriva alla grande verità: non le importa solo (o comunque è del tutto secondario) essere Gen o missionaria, "le sigle" (come dice lei) o far questo o quell'altro (anche se continua a fare tutto e a farlo nel migliore dei modi: "Io ora non devo pormi il problema di diventare missionaria o focolarina, ma prima di tutto se scegliere Dio come compagno per tutta la vita cercando di rimanergli fedele. Secondo me l'importante è dire sì a Te e poi tutto il resto diventa relativo".

Ha capito che per lei la cosa più importante, qualunque cosa faccia, è l'amore e nella chiesa vuole essere l'amore: "Ho detto (a C.) che non sceglievo questo o quel movimento, ma Dio e Dio soltanto"; "La cosa più importante è tenermi stretta a Gesù, riconoscendo che questa situazione, questa incertezza è un volto di G.A. e devo amarlo. Cercherò, anche se dovesse costarmi cara, di fare comunque la volontà del Padre... Ho pensato a quanto amore potrei dare se solo imparassi ad amare liberamente, gratuitamente e nello stesso tempo penso che il Signore, nonostante i miei limiti, le mie cadute, mi ama di un amore tanto grande da avere fiducia in me ed usarmi come strumento per realizzare veramente l'unità... Devo buttarmi ad amare, ricominciare proprio morendo a me stessa".

Sembra di sentire S.Teresa di Lisieux ("nella Chiesa io sarò l'amore") e S.Agostino ("ama e fa' ciò che vuoi"). Nelle espressioni "anche se dovesse costarmi cara", "fare comunque la volontà del Padre", "morendo a me stessa", c'è già un martirio di consacrazione e di amore, che apparirà nelle successive pagine del Diario sempre più chiaro e drammatico.

Lo studio

In questa prospettiva appare ridimensionato anche il rapporto di Santa con la scuola e con lo studio. Nel Diario abbiamo più riferimenti alle persone che incontra e frequenta a scuola che non alle materie di studio e ai fatti culturali: pare incredibile come non ci sia mai un riferimento ad un poeta, ad un filosofo, ad un testo letterario... Per una ragazza che frequenta il liceo classico pare, ripeto, incredibile, soprattutto se si tiene conto della grande sensibilità di Santa. Può sembrare strano: lei che alla scuola media aveva già una così chiara coscienza del valore della cultura, fino a considerarla un tesoro... che ha scelto il classico per poter avere una cultura più ricca, ora avverte spesso un calo di senso nello studio:

"Devo impegnarmi di più fuori della scuola, perché gli esami non possono limitare e forzare tutta la mia vita. Io ho sperimentato che se mi rendo utile agli altri, se amo, sono più felice, mi sento realizzata, ma ora non posso pensare di essere utile ai libri, e né i libri mi sono utili in questo momento"; "Anche lo studio mi sembra vuoto: sento che arrivano gli esami e non mi sono ancora messa seriamente a studiare"; "Forse tutto questo dipende dal fatto che ho paura degli esami, che non riesco a concentrarmi e allora non riesco proprio a capire che senso ha lo studio".

Io penso che l'interesse per lo studio, per la cultura, sia stato per Santa l'avvio all'amore per la sapienza, alla filo-sofia; man mano che la Sapienza (con la S maiuscola) l'ha incontrata, lo strumento di cui il Signore si è servito per attirarla è passato in secondo piano e l'attira ormai non più l'amico dello Sposo, ma lo Sposo direttamente. Santa si meraviglia e quasi resta delusa del risultato non brillantissimo (ma nemmeno disprezzabile) conseguito agli esami di maturità, ma, se posso ancora tentare un'interpretazione spirituale, perché si aspettava probabilmente che i docenti valutassero anche il di più del suo amore per il Signore, per la Sapienza, che ormai in lei era diventata carne, esperienza viva.

Quanto alla cultura classica, se non traspare direttamente da citazioni o riferimenti letterari, appare, però, a mio parere, bene assimilata nella capacità che Santa ha di esporre in forma chiara e misurata il suo pensiero, i suoi sentimenti: anche nei momenti più estatici o più drammatici la sua parola non è mai sdolcinata né tragica; conosce sempre una misura che non è solo dote naturale, ma anche frutto di equilibrio spirituale e di maturità culturale.

Quel che muove Santa Scorese anche nella scelta del tipo di studio è la "radicalità della sua adesione al Cristo",
il volerlo sempre meglio servire nella persona dei poveri e dei sofferenti.

La scelta della facoltà universitaria (pensa a quella di Medicina) non è più, come era stato per la scuola superiore, dettata da interessi culturali, ma dal proposito di un servizio da rendere ai poveri, agli ammalati, per servire in essi il Signore, G.A. Vedremo che poi tornerà indietro su questa scelta (si iscriverà a Pedagogia), ma oltre che problemi a casa, incide sulla nuova scelta certamente anche la possibilità di avere più tempo per altro. È sempre, ormai, una radicalità di dedizione all'amore del Signore a muoverla; e lei tutto orienta in tal senso, ma nulla le basta. Santa vive l'inquietudine della Sposa del Cantico: cerca il Signore per le vie della città... alla fine lo ha abbracciato e non lo ha più lasciato (26).

Il Dalla Maturità fino alla fine del Diario (1)

Il conflitto per la vocazione

La seconda parte del Diario è soprattutto caratterizzata da un grande conflitto per la vocazione da vivere nella Chiesa. Vedrei tre fasi.

La fase delle incertezze. In una prima fase Santa è ancora fortemente incerta e si dice indifferente, in fondo, alla scelta concreta, se Gen, o "milite" (Milizia dell'Immacolata): "Sono anche, forse, stupidi tutti i problemi che mi pongo: gen o milite etc., che sono solo sigle, ma l'importante, al di là di tutto è amare, ma amare per Lui e solo per Lui. L'amore non ha barriere, etichette, ma è l'amore e basta, che ti entra dentro e che è così caldo che devi trasmettere per forza il suo calore a chi ti vive accanto". Pensa ad un forte impegno universitario, iscrivendosi a Medicina: "Mi propongo di fare bene il mio dovere fino in fondo... Allora: al lavoro!". Non esclude del tutto la possibilità di formarsi una famiglia: "Ancora una volta mi chiedo se sono disposta a sacrificare una esistenza che può essere fatta nel matrimonio, con dei figli, con un lavoro per questo amore"; "Quest'ultimo periodo l'ho trascorso tra alti e bassi. A volte ero pronta a lasciare tutto e sentivo che la chiamata era chiara e qualche giorno dopo dicevo che la mia vita era quella in una famiglia con marito e figli". Importante è, in ogni caso, "mettere il Signore al primo posto": ritengo sia ancora, fondamentalmente, la spiritualità di Chiara Lubich, che non obbliga a particolari condizionamenti esterni, ma chiede solo di vivere l'Ideale, l'Unità, l'Amore.

La fase della scelta. La Milizia dell'Immacolata "P. Kolbe". In una seconda fase Santa, anche perché fortemente sollecitata, sente che forse il grande amore con cui il Signore la ama richieda da lei una scelta anche esterna, formale, un sì ad una struttura, in questo caso, le Missionarie dell'Immacolata "P Kolbe" ("Credo che il Signore e l'Immacolata mi stiano ponendo di fronte ad una scelta, che stiano chiedendomi la via del servizio, ma quello vero, agli altri"), con un impegno di vita di comunità e di attività missionarie (catechesi nelle famiglie, diffusione della stampa...: fa anche un'esperienza in tal senso a Monte Sant'Angelo).

Molto incide sul suo animo e sulle sue riflessioni riguardo alla vocazione la personalità di una delle Missionarie, Carmencita, che Santa considera non solo amica, ma anche sorella, madre, modello, parte della sua anima ("quando parliamo noi due c'è sempre una comunione di animi profondissima"), la presenza stessa del Signore accanto a lei. Tutto questo la porta a fare questa scelta, a "dire sì tra la gioia e le lacrime", prima durante l'adorazione ("durante l'adorazione ho detto sì a Gesù tra la gioia e le lacrime. In quel momento ho sentito come se il mondo tirasse un sospiro di sollievo, forse era Dio, ma soprattutto ho sentito una gioia così forte che mi faceva sentire libera"), poi tra le compagne missionarie ("è stato difficile parlare e infatti tremavo, ma è stato anche tanto bello!").

Scrive anche una richiesta formale alla Direttrice generale delle Missionarie dell'Immacolata "P.Kolbe" a Bologna (cfr. Lettera del 2 maggio 1988). Ccomunica in un'atmosfera drammatica la decisione ai suoi: "Mi è venuta una gran fifa. Non ho paura di parlare loro, ma ho paura di sbagliare ancora una volta"; sono stati a Messa tutti insieme la mattina di domenica al Redentore (festa del centenario della morte di don Bosco); "a tavola non ho fatto altro che recitare Padre Nostro e Ave Maria e tentavo di parlare, ma non mi uscivano le parole, e intanto sudavo"; dopo aver chiesto il coraggio a Maria ha infine parlato, ha provato dolore per i genitori, ma "Nel momento in cui ho parlato però mi sono sentita il cuore libero, leggero, pronto a prendere il volo"; ha anche pianto, ma si è sentita come "l'unica persona che Dio teneva a cuore".

In realtà si è trattato prima di tutto di un sì a Gesù. In un primo momento si sente felice, piena di Gesù, finalmente libera, ma non mancano ancora dubbi e incertezze: non si vede a fare la missionaria; le regole non sono per lei; ha l'impressione di ingabbiare il suo spirito e il suo amore per il Signore in degli schemi: "Non so più cosa sia giusto fare. Il pensiero di entrare in Istituto mi soffoca. Non riesco a vedermi lì, a pregare, a svolgere quelle attività. Se penso ai ritmi delle missionarie vedo come non corrispondono e non corrisponderanno mai ai miei. Io con Dio ho un rapporto tutto mio che è fatto di preghiera sì, ma secondo la mia esigenza di offerta anche delle piccole cose, senza sentire l'esigenza di andare di casa in casa a dare una buona parola, a far rinnovare l'abbonamento... Il pensiero di dover vivere tutta una vita svolgendo quelle attività (missioni, catechesi, ecc.) non mi rende affatto contenta e non mi entusiasma. Ho uno spirito troppo indipendente (e questo è un male) e voglio avere i miei spazi, i miei tempi." (questo non significa che Santa disprezzi la preghiera in comune, dice che ci sono momenti in cui bisogna pregare insieme "perché la Chiesa e quindi Cristo è anche comunione e non solo individualismo"; e lei avverte questa esigenza, ma "senza avere degli schemi a cui sottostare"). Ci sono mille ripensamenti, pentimenti, preghiere, richieste di perdono, propositi di fare comunque la volontà del Padre. Ma le incertezze rimangono.

12. "Con Maria vivo così" (vd. Altri scritti, p.259), che deve essere del 1987: Santa parla ancora della sua esperienza scolastica e dice di avere diciannove anni; il fatto che narra è di qualche anno prima.
13.
Cfr. Gv 19,26-27.
14.
1 Cor 10,31.
15.
Ancora nello scritto "Con Maria vivo così", cit., p. 261.
16.
Un cenno da cui, peraltro, appare chiaro come per lei il sacramento della riconciliazione sia un fatto abituale, normale; perciò non ne parla molto.
17.
Cfr. Mt 25,40.
18.
Cfr. Lc 1,39 sgg.
19. Lc 17,10.
20.
Mt 6,26 sgg.
21.
Mt 6,19.
22.
Lc 12,16-21.
23.
Cfr. Lc 10,41.
24.
Ancora nello scritto "Con Maria vivo così", cit., p.261.
25.
Gv 17,13.
26.
Cfr. Ct 3,4.

Prima parte Terza parte

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