Manrico Marinozzi
e la bottega dell’arte

Alvaro Valentini

Manrico Marinozzi nasce a Pollenza il 17 dicembre 1903 e muore in Ancona il 5 marzo 1973. Giovanissimo inizia le prime esperienze artistiche nella bottega di restauro e d’antiquariato del padre Remo, in via della Pescheria in Pollenza. S’impone subito per la naturale vocazione e per lo stile originale che riesce a trasfondere nelle opere, sia in pittura che in scultura.

Si dedica con sorprendenti risultati al restauro di tele antiche, all’intaglio e all’intarsio. Fondamentalmente è un autodidatta. La sua formazione artistica matura nella bottega artigiana che, avviata agli inizi del secolo, già negli anni Venti vantava una consolidata notorietà, anche fuori delle Marche.

"La bottega di restauro",
olio su tela, cm 50 x 65.

Oltre a Manrico, nella bottega erano occupati gli altri fratelli: Riccardo (1899-1985) provetto ebanista e intagliatore, Mario (1901-1924) abile negli intarsi, Remo junior (1913-2003) fine restauratore. Una famiglia molto unita di solerti lavoratori e sapienti cultori dell’arte, nel senso più nobile del termine, alla cui scuola si sono formate intere generazioni di bravi artigiani pollentini, tuttora operanti nei settori specifici del restauro e dell’antiquariato.

L’attività dell’antica bottega, recensita da riviste, settimanali, quotidiani, servizi televisivi, e citata persino dallo scrittore Salvator Gotta nel suo romanzo "Signor salvaci, ci perdiamo", è poi continuata con i diretti discendenti. Sotto la guida di Manrico si sono formati i suoi tre figli: Adua, esperta restauratrice di quadri e cornici antiche, con lavori eseguiti in case patrizie e famosi conventi (daI 1977 in poi si è dedicata all’insegnamento musicale nelle scuole); Giuliana, raffinata pittrice e antiquaria, che ha assunto la gestione della bottega paterna dopo la scomparsa del fratello Corrado (195 1-1977), anche lui apprezzato pittore, restauratore e docente negli Istituti superiori, alla cui memoria è intitolata l’AVIS comunale di Pollenza.

Gli altri due rami del ceppo Marinozzi sono costituiti da Mario e Caterina (Rina) figli di Riccardo e da Andrea figlio di Remo junior. Ciascuno di essi oggi opera in Pollenza con un proprio laboratorio di restauro e un proprio spazio d’antiquariato, dove si ritrovano pezzi unici, mobili d’epoca e rare collezioni con il marchio dell’autenticità.

Questo il clima in cui è vissuto ed ha operato Manrico, fin da fanciullo incline al disegno e alla pittura, ad ogni forma espressiva che desse libero sfogo al suo estro creativo. A contatto con l’arte del passato, egli si specializza nei dipinti ad imitazione dell’antico, soprattutto dell’opera degli autori più celebri del ‘600 e ‘700, dai Fiamminghi ai Veneziani, dal Canaletto al Guardi, dal Lorenese al Magnasco, Pannini, Porpora, Zuccarelli, al romantico Corot, e sempre in ogni dipinto riesce a calare la sua impronta di pittore sensibile e immaginoso, teso alla ricerca dei valori tonali, intesi come valori luminosi, e di una tavolozza ricca e cantabile.

Non ancora ventenne scopre la scultura. Nel 1931 esegue su commissione le due statue in cemento raffiguranti Cristoforo Colombo e Dante Alighieri, che adornano la monumentale facciata della chiesa di Sant’Antonio da Padova in Pollenza, realizzata su progetto dell’architetto romano Cesare Bazzani. Scolpisce per il Duomo di Acireale la statua in noce della Madonna di Loreto, su ordinazione dell’allora arcivescovo mons. Fernando Cento, suo grande estimatore.

Lavora la creta, creando deliziose testine di bimbi, scolpisce il legno, plasmando opere di pregevole fattura, fonde nel bronzo volti e medaglioni ricordo. Partecipa con successo alle più qualificate manifestazioni artistiche italiane. Nel 1928, alla Mostra nazionale d’Arte pura di Pesaro espone assieme a Rodolfo Ceccaroni, Michele Cascella, Cesare Peruzzi, Fernando Mariotti, Anselmo Bucci, Enrico Mazzolani, Sandro Gallucci, Francesco Carnevali, Luigi Bartolini, Napoleone Parisani, Dante Ricci, il fior fiore dell’arte del primo Novecento, ottenendo il Diploma di Alta Lode con medaglia d’argento.

Nella Mostra dell’Artigianato di Ascoli Piceno consegue il Primo Premio con medaglia d’oro. Alla Galleria Bellenghi di Firenze le sue sculture suscitano l’ammirazione di critici e maestri dell’arte. Il suo nome è inserito nell’Albo d’oro accanto ad artisti come Irena Barach e Rodolfo Bernardi. Sempre molto attivo, partecipa al Premio Scipione a Macerata e alla Mostra Internazionale di Bari. Ormai è un affermato pittore e scultore e le sue opere sono richieste ovunque, in Italia e all’estero.

Molto legato agli affetti familiari e alla bottega d’antichità e restauro, dove il suo estro trova spazio ideale per la sua ispirazione, rinuncia a prestigiosi incarichi presso Accademie di belle arti e Scuole d’arte e rinomate botteghe antiquarie a livello nazionale.

Con il tempo il suo stile si personalizza e, pur non trascurando le rielaborazioni dei dipinti dal gusto classico e romantico, il suo pennello si arricchisce di opere moderne e innovative, sapientemente rese dalla freschezza cromatica, trasfigurate dall’elemento luce, permeate da un profondo lirismo.

Passato e presente si fondono nella sua opera, in una simbiosi suggestiva per equilibrio formale e magico incanto. La sua pittura, a giudiziò di alcuni pittori e critici, precorre l’Arte colta e il Nuovo romanticismo.

Manrico ha sempre dipinto con grande spontaneità, sostenuto com’era da un’ispirazione intima e dall’amore per le bellezze del creato. Con quel radicato senso di umiltà e di riservatezza che, unito ad un naturale candore, ne fanno una delle figure artistiche più semplici, limpide e coerenti del Novecento. Per oltre mezzo secolo egli ha operato nel silenzio del suo studio-laboratorio, con sorprendente intuizione e sapiente maestria, dispensando mirabili tesori pittorici.

Molte sue opere sono conservate in collezioni pubbliche e private, sia in Italia che all’estero. Egli ha lasciato un ricco patrimonio di opere, in scultura e soprattutto in pittura, raccolto prima dalla moglie Maria Coppari (1913-2003), donna esemplare per umiltà e dedizione alla famiglia, ed ora gelosamente custodito dalle figlie Adua e Giuliana, opere che continuano a parlarci di bellezza e d’armonia, di verità e di trascendenza.

In questo universo plastico e formale si colloca Manrico Marinozzi, artista sensibile e raffinato che ha guardato con interesse al Rinascimento e apprezzato le cose semplici del quotidiano. Come solo i grandi artisti sanno fare.


E-mail: gesunuovo@yahoo.it

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