Il mio amico Manrico

Fabio Failla

Un mio amico napoletano una volta mi disse: caro Fabio, nessun artista nasce orfano. Infatti, incoscientemente, ogni artista ha delle preferenze. L’importante è di avere una personalità. Chi vede un dipinto di Manrico Marinozzi si può ricordare della pittura di un Recco, di un Corot, di un Baschenis, di un Porpora o di un Robert Hubert, però è inconfondibile il suo stile. E Manrico è stato un vero artista e anche se si rifaceva ai maestri del passato, dava però sempre ai suoi quadri un’impronta originale e personale.

Manrico per me èstato un grande amico, anzi l’unico grande amico della mia vita. Alla fine del ‘43, quando sfuggito alla prigionia tedesca ritornai a Pollenza, fu merito suo se potei riprendere a dipingere: mi dette colori, pennelli e tele, molte volte ricavate da vecchie lenzuola e preparate con una mano di gesso.

Manrico Marinozzi: "Frutta e fiori",
olio su tela, cm 70 x 100.

Ripresi a frequentare il suo studio, affacciato sulle mura che abbracciano un immenso, dolce paesaggio marchigiano. E lo ammiravo estasiato, mentre in piedi, contro la finestra, dipingeva con una velocità e una maestria eccezionale i suoi bellissimi fiori e i suoi incantati paesaggi. E tra un tocco di colore e l’altro, i nostri discorsi finivano sulla pittura e sull’arte di dipingere. Eravamo sempre d’accordo su un punto e cioè che per la pittura erano essenziali la luce, l’ombra e il disegno.

Manrico Marinozzi ha tentato una operazione di sintesi di civiltà tra lo ieri e l’oggi, e ci è pienamente riuscito. Perciò egli è stato un vero artista e anche un eccezionale uomo: con quei suoi occhi grandi, azzurri come un pezzo di cielo, con la sua fede religiosa.

Una volta si divertì molto quando gli dissi: "Sai, Manrico, che al tuo nome manca una "c", perché tu sei Manricco!". Infatti vederlo dipingere, meravigliava per la sua facilità nel comporre un dipinto e nel finirlo con una abilità e rapidità straordinarie.

Manrico ha sbagliato ad esser nato nel ‘900, perché lui è stato un artista rinascimentale: pittore, scultore, restauratore. Il suo battersi per la bella pittura, l’amore per il mestiere, il suo ricercare certezze intime, negli incontri illuminanti con il Museo, vanno intesi nel loro autentico messaggio morale che si esplica in un atto di amore e nella simbiosi di rapporti tra il singolo e l’esistente.

Manrico era un galantuomo, onesto, pulito, attaccato alla famiglia. Con la sua arte ha lanciato un allarme contro la caduta dei valori umani, ma anche un’esortazione a riconoscere nella vita una virtù e uno scopo.


Nota di Alvaro Valentini. - Questo testo inedito, conservato tra le mie carte, fu scritto da Fabio Faiila (Lucca 1917- Roma 1987), pollentino per scelta (così amava definirsi), in occasione della Mostra antologica "L’antico fascino dell’arte" (Pollenza, Sala consiliare, Settembre 1984), dedicata a Manrico Marinozzi. È l’affettuosa testimonianza di un grande pittore ad un altro grande artista, suo amico e maestro.
Fin da ragazzo Failla ha frequentato lo studio di Manrico a Pollenza, apprendendo i primi insegnamenti pittorici. In seguito, trasferitosi a Roma, doveva iniziare la sua luminosa ascesa artistica, sino a diventare l’interprete più lirico, sognante e metafico della Città Eterna.


E-mail: gesunuovo@yahoo.it

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