Manrico Marinozzi
pittore, scultore, restauratore,
intagliatore, intarsiatore

Nello Biondi

"Luce, che i prati di smalto
e le selve rivesti,
che il giorno ridesti e al tramonto
le nuvole tingi, le vette
di rosso, di rosa, di viola,
che stendi sui mari, nei cieli
un velo di vivido azzurro,
che dai vita agli esseri e splendi
negli occhi, m'inebrio di te
e a te mi volgo come eliotropio.

Sei forza, anelito, amore;
sei simbolo eterno del vero,
del bello, del giusto..."


"Paesaggio", olio, cm 30 x 40.

È una "tavolozza" ricca di uno splendido cromatismo poetico, redatta dal poeta Ascenzo Montebovi e inserita in uno dei sette volumi titolata: "Luce", è ricca di ben quattro colori cari all’artista pollentino Manrico Marinozzi, al quale dedichiamo questa "Cartella" nel ventesimo anno della sua scomparsa (1).

L’abbiamo iniziata con i versi della poesia "Luce", a chi ha dedicato tutta la vita all’educazione scolastica ed all’amore per l’Arte, ed oggi si trova proprio a Pollenza, nella patria del nostro artista, con la speranza e l’augurio di tutti che gli ritorni la memoria, inspiegabilmente smarrita.

Pollenza "città d’arte e di cultura", quasi leopardiana per la sua posizione, dalla quale, ...mirando, interminati spazi, i vari paesaggi marini, collinari e montani. tra i quali si ergono maestosamente "quei monti azzurri", per essere ripresi nella natural bellezza e così godere ed alimentare lo spirito e vivificare l’intelletto ed il fisico.

Pollenza: è cittadina di signoril aspetto, graziosa, simpatica e pacifica, accogliente ed ospitale, linda e tersa come un’innamorata che vuole accoglierti con ammirevol tenerezza. Pollenza fu cenacolo artistico dove nacquero gli artisti Fammilume. Marinozzi, Monti ed altri, dove la Chiesa ebbe nel Cardinale Fernando Cento, un "Principe" ricco di fede e di cultura; pollentino per vincoli di parentela e di amore cittadino il non dimenticato pittore Fabio Failla; il poeta Massimo Coronaro.

Nacque a Pollenza il filosofo Vincenzo Cento. Figlio di genitori pollentini, campagnoli, trasferiti verso la Maremma: il poeta Vincenzo Caldarelli. In questa cittadina, ovunque ... artistica, operarono gli artisti Biagetti. Virginio Monti, Sesto Americo Luchetti ed altri.

In questo ambiente, in quello familiare pregno d’arte, di artigianato, di antiquariato, nacque il 17dicembre 1903 Manrico Marinozzi. Mentre l’inverno era in attesa del suo ingresso stagionale, per mettere alla porta il grigio "autunno" e presentare il suo primo simbolo, al futuro artista. Ecco il bianco, il tuo colore, illuminante sempre la realtà della vita; in ogni ambiente sociale in cui vivrai.

"Un'anima di artista racchiude in sé tutto il mondo", afferma il critico francese Taine, ecco il Manrico Marinozzi che desideriamo e vogliamo ricordare: l’autodidatta dall’abc alla sintassi dell’Arte.

Via Leopardi a Pollenza,
vista dal suo studio.
Manrico Marinozzi, acquerello

Un artista sempre vivente, nel costante ricordo di tanti suoi parenti, amici, conoscenti ed estimatori, sparsi un po’ in tutta Italia ed all’estero. Manrico Marinozzi è stato un autentico e volenteroso autodidatta, come umilmente amava definirsi.

Scelse e studiò diversi insegnanti, in special modo i fiamminghi, i primi maestri degli olii classici, paesistici. Prese a modello, non per imitarli nè per interpretare certe e determinate impostazioni, ma per seguirli nello stile e nella coloritura: Claude Lorrain - un francese - e Pieter Paul Rubens, autentico fiammingo, e forse forse il Guercino.

Il primo amò l’Italia ed il suo paesaggio, tanto da viverci fino all’anno della sua scomparsa avvenuta a Roma (1682) e cambiando il nome in Claudio Lorenese. Il secondo, soggiornò a lungo in Italia, dove giunse all’età di 23 anni, innamorandosi del Veneto e della "cara" Venezia.

Le opere: "Paesaggio con donne bagnanti", il "Paesaggio al chiaro di luna" e la "Festa campestre" del "Guercino" di Cento, hanno anch’esse di certo influenzato il "nobil sentire" di Manrico. Questo "trio" così illustre ha guidato la mano dell’artista, indicando la via maestra dell’arte, da seguire.

Non si stancava mai di operare, sia nel campo del restauro che della scultura ma soprattutto della pittura. L’umiltà e la modestia, innate nell’animo di Marinozzi (virtù, oggi quasi scomparse ed uccise dal regnante benessere), la sincerità e la generosità aiutano a superare ogni e qualsiasi ostacolo. Lo studio dell’arte (a patto che ci sia una solida vocazione) vuole queste virtù, al fine di riuscire a vivere appartati e lontani da certi movimenti, così, come S.Paolo chiamava e voleva i cristiani: "lontani dalle macchie del mondo".

L’Arte non va considerata alla maniera di uno "strumento" attirante e fonte di lauti guadagni. Noi, come del resto lo era apertamente Marinozzi, siamo nemici di coloro che tentano con ogni mezzo di imporre quel "credo artistico" o le "astruse e bizzarre concezioni"… ma amici e sostenitori di artisti che hanno bene individuato lo scopo del vero operare artistico.

Molti fruitori stanno disertando diverse mostre, in cui le opere d’arte sono prive di forma, di contenuto e di altri presupposti. "Hanno smarrito - come affermava il pittore e critico Enrico Sacchetti - la vera via"!

Ma... allora qual’é lo scopo dell’arte? "...L’Arte - affermava Pio XII. parlando agli artisti cattolici intervenuti al primo Congresso Internazionale a Roma nel 1950 - aiuta gli uomini, nonostante tutte le disparità di caratteri, di educazione, di civiltà, a conoscersi, a comprendersi, per lo meno ad intuirsi scambievolmente e di conseguenza, a mettere in comune le proprie risorse allo scopo di completarsi gli uni con gli altri."

Quando la visione delle opere d’arte entusiasma e commuove gli animi dei visitatori, si può affermare che la "rassegna" ha veramente lo scopo educativo e culturale. Questo con le sue opere, ha sempre affermato Manrico Marinozzi. Non bisogna esaltare, elevare, percorrendo le piccole vie, giocando senza saper giocare, correndo senza saper correre, togliendo ciò che dovrebbe restare, sognando senza accorgersi di essere svegli, usando neologismi o paroloni personalmente coniati e non inseriti nemmeno nei più illustri dizionari, il tutto per dare ad un pittore o scultore un merito rovesciato, al posto di quello giusto.

E’ dovere di ogni critico dire la verità. Questo ci hanno insegnato le opere di Manrico Marinozzi, un artista che ancora deve e dovrà insegnare, a noi ed a chi segue l’arte con amore ed interesse, le cose più vere e più ricche di verità.

La sua serietà professionale nel restauro, la vocazione sincera ed aperta nel campo dell’arte, la vita familiare e civica, sono le cose più interessanti che hanno vestito un uomo che ha onorato la famiglia, Pollenza, le Marche.

Un giorno fu chiesto a Manrico ancor giovinetto, mentre era intento a realizzare un paesaggio assai impegnativo (se non andiamo errati - ad intervistarlo era l’inviato del Giornale d’Italia, Giacomo Pavoni), già provetto nelle diverse discipline, dalla pittura al restauro, dall’intaglio all’intarsio e persino nella glittica: "- Quante ore al giorno passi a pitturare al cavalletto?" - "Dall’alba al tramonto!" - "Non è molto?" - "È il tempo che ha stabilito nostro Padre. E’ un orario fatto secondo il cammino del sole."

Facciamo tantissimi passi come il "gamberone", incontrando così alla Mostra d’Arte Sacra, a Monte Cassino, svoltasi in occasione delle feste centenarie di San Benedetto, quel "rampollo marinozziano", poco più che ventenne. Non è presente come pittore, ma nella veste dello scultore.

Due le opere esposte. Un grande tondo in legno, rappresentante la Madonna che stringe a sé, affettuosamente il Bambino. I capelli sciolti, sparsi con ordine, il panneggio della veste, visibile e composto. Le mani della Mamma e del Piccolo sono realizzate alla perfezione.

La statua della Madonna di Loreto con il Bambino, sembra realizzata da un consumato e vecchio scultore altoatesino. Un'opera lignea altamente qualificante. Non sappiamo dove oggi sia collocata. Durante la visita, ne rimase entusiasta il Legato Pontificio, grande ed illustre marchigiano, nato nel cuore dei Sibillini, l’Eminente porporato, Segretario di Stato, Cardinale Pietro Gasparri di Ussita. Si rallegrò molto con il giovane scultore pollentino, al quale predisse un brillante avvenire (2).

Durante la sua vita artistica, Marinozzi, fu un ammiratore dell’arte del pittore-filosofo francese Nicolas Poussin, che invaghitosi di Roma e dell’arte di Raffaello, decise di rimanere nella Città Eterna fino alla sua scomparsa, che avvenne nel 1665.

Il "pollentino", diciamolo francamente - del resto è la vita dell’autodidatta - amava imparare dai "Maestri" più bravi, ma lì, di fronte al suo "cavalletto", ha fatto conoscere a tutti la sua creatività, la sua originalità, e l’impronta della sua arte. Le nature morte piene di vita e vivacità, quei "Fiori" che emanano anche la bontà del suo autore. Qui ha fermato l’idea della realtà che fugge con il domani, con il tempo.

Sulle "Panchine", un’opera meravigliosa, dove ha fissato tanta luce, illuminandole: questo è un quadro ricco di quel moderno che non tutti sanno realizzare. E i paesaggi lunari? Sono le opere che Manrico ha lasciato prima di ogni altro. Ha saputo memorizzare, a suo tempo, i segreti di Sorella Luna… trasmessi sulla "Terra" grazie all’ardimento dell’uomo.

Marinozzi non si è mai allontanato dalla bellezza, dalla verità, dal realismo che può dare nel senso figurativo un "paesaggio". Quel verde che rischiara lentamente il punto dove ci sarà o avverrà l’incontro degli innamorati, che furtivamente programmeranno la loro futura vita, o degli anziani che ripetono costantemente "l’elogio della fraterna simpatia", ricordando le primavere trascorse... "Ricordi? Sembra ieri !"

"Paesaggio architettonico",
olio su tela.

Ad ogni pennellata, Manrico avrà certamente pensato alla poesia pollentina, suggerita in quest’oasi riposante su questo colle, circondato lungi dal mare e dai monti, dalle sue vallate e dal Potenza e dal Chienti, due fiumi merlettati dalle apriche collinette.

L’artista, nel suo studio, da quella finestra annotava il suo paesaggio, così spesso come lo sognava. "L’autoritratto" e il "Suo studio", illuminati dalla luce proveniente da Levante, entra da quella "finestra" che quotidianamente gli forniva la visione del superbo e meraviglioso panorama marchigiano. Oggi sembra voglia uscire da quella cornice un pò barocca, super ricca di motivi floreali, con in alto, una piccola figura seduta. La naturalezza e la spontaneità che si riscontrano in questo autoritratto sorprendono l’osservatore, così come il ritratto di altra persona.

Manrico Marinozzi aveva appena trascorso il suo "iter terreno" quando eravamo in visita alla "Galleria La Barcaccia", presente il titolare Ettore Russo ed il grande pittore di Anagni Giovanni Colacicchi, già Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Firenze. La città di Fiuggi, grazie alle sue acque minerali, accoglie tantissimi amanti dell’arte.

L’artista e Maestro ci donò una "monografia gigante" dalla quale prendiamo, dalla sua autocritica, una diecina di righe per inserirle in questo nostro ricordo a Manrico, perché esprimono il sentimento artistico del "pollentino":

"La pittura è soprattutto arte figurativa; è l’arte di fabbricare immagini.., va giudicata in relazione al valore delle immagini di cui si compone... Il concetto di "immagini’ aduna ancora tutto quanto di liberamente creativo è nell’esercizio del dipingere e dello scolpire.
...Il progresso dell’arte riprenderà quando ci si metterà ancora una volta a dare o rendere forma, ritmo, colore agli alberi, alle montagne, al mare, ai fiumi, agli esseri umani che ci passano accanto, alla passione che abbiamo in noi per questo mondo in cui la nostra vita trascorre, e che noi formiamo ed indichiamo a noi stessi a ogni volgere dei nostri occhi..."

Ricordiamo ancora il nostro artista con poche parole di Gianna Pazzi, redatte nel 1950, la scrittrice fiorentina amante della nostra "Terra" e di Pollenza… "Il paese che ti offre un incantesimo di paesaggio ed ivi entro il suo gran cuore di collina, la fioritura dell’ingegno umano che nel fascino del 'colore' e della 'forma' crea dipinti e sculture, quadri e figure nel legno, mentre sorridono attorno sagomature antiche di mobili sapientemente restaurati o di mobili rifatti su prischi modelli... l'artista Manrico, che alle prime luci del mattino mira estatico il cielo dalle terrazzine olezzanti di fiori del suo caseggiato…"

Note
1.
Il presente scritto è del 1993. Manrico Marinozzi è venuto a mancare il 5 marzo 1973.
2.
Su quest'opera di Manrico Marinozzi vedi l'articolo, in questo stesso sito: La statua della Madonna di Loreto di Manrico Marinozzi per il Santuario di Acireale (Catania), di Egidio Ridolfo s.j.


E-mail: gesunuovo@yahoo.it

Home Page
Manrico Marinozzi

Home Page
"Orizzonti dello Spirito"